IL TRIBUNALE 
 
     Il Presidente della Sezione Agraria specializzata del  Tribunale
di Ancona, statuendo nel  procedimento  cautelare  agrario  di  prima
istanza n. 101699/2008  R.G.;  a  scioglimento  della  riserva  posta
all'udienza cautelare del 27 febbraio 2009; 
 
                            O s s e r v a 
 
    Con ordinanza 18  marzo  2009  il  Tribunale  di  Ancona  Sezione
Agraria, come  giudice  del  reclamo  ex  art.  669-terdecies  C.P.C.
Novella legge 14  maggio  2005  n.  80,  ha  dichiarato  la  nullita'
dell'ordinanza 14 ottobre 2008 emessa dal  Presidente  della  Sezione
Agraria Specializzata (ex art. 669-sexies c.p.c.), reiettiva di altro
ricorso cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c. proposto  da  Chessa
Matteucci Yuri, Azienda Agricola Eredi di Chessa Sebastiano e  Gerani
Maria avverso Moriconi Gianfranco), in altro  procedimento  cautelare
n.     100654/2007     R.G.     incorrendo     nel     divieto     di
ultrapetizione-extrapetizione, di cui all'art. 112 c.p.c..  La  detta
nullita' e' stata dichiarata (dall'organo  collegiale)  per  asseriti
vizi di forma dell'ordinanza  reclamata.  I  reclamanti  non  avevano
affatto richiesto detta declaratoria di nullita'; in giuoco  era,  in
via  preliminare,  la  sola  reclamabilita'  (o  non  reclamabilita')
dell'ordinanza cautelare di 1° grado. Nessuna contestazione era stata
rivolta (dai reclamanti) alla competenza funzionale  monocratica  del
Presidente della Sezione Agraria Specializzata,  ragion  per  cui  il
Collegio,  investito  del  gravame,  avrebbe  dovuto   limitarsi   ad
esaminare: 1) se il provvedimento  fosse  (o  meno)  suscettibile  di
reclamo; 2) il fumus boni juris; 3) il periculum in mora.  Detto  per
incidens et  ad  colorandum,  la  giurisprudenza  non  condivisa  dal
Collegio (in tema di competenza funzionale presidenziale) data  dalla
prima meta' degli anni Novanta, che coincidono, non contingentemente,
con la Novella legge 26 novembre 1990, n. 353, che  ha  profondamente
«innovato» la  materia  dei  procedimenti  cautelari.  Irritualmente,
l'organo  collegiale  ha  applicato,  nella   concreta   fattispecie,
l'art.161  c.p.c.  (nullita'  della  sentenza).  In   nessuna   norma
procedurale, il legislatore ha esteso la disciplina  della  succitata
disposizione  di  legge  anche  alle  ordinanze,  provvedimenti   ben
diversi, per loro natura non definitivi ma interinali. Cio' in  linea
principale. Sull'argomento in linea gradata, si tornera' piu'  avanti
nel corso della presente motivazione. 
    Fin dal 1993-1994 (1° gennaio 1993 epoca di  ingresso  in  vigore
della  Novella  1990,  ingresso  anticipato  dal  legislatore  per  i
procedimenti cautelari)  lo  scrivente  ha  sempre  rimarcato  quanto
segue. 
    Il   nostro   ordinamento   giuridico   nazionale   conosce    la
«tassativita' dei mezzi di gravame». 
    Cio' vale per le sentenze, ma anche per  le  ordinanze  e  per  i
decreti. Non vi e', in  punto,  estensione  interpretativo-analogica.
L'art. 669-terdecies c.p.c., tanto nella versione della Novella 1990,
quanto nella versione della Novella 2005, non contempla alcuna  forma
di  reclamo  avverso  l'ordinanza  emessa   dalla   Sezione   Agraria
Specializzata del Tribunale di Ancona (cio' tanto se si accredita  la
tesi, di chi scrive,  della  monocraticita',  quanto  se  si  ritenga
valida la tesi della collegialita' espressa dall'organo del gravame).
Il secondo comma dell'art. 669-terdecies prevede  un  unico  caso  di
reclamo avverso ordinanza cautelare collegiale di  1°  grado,  quando
cioe', ovviamente esclusivamente in corso  di  causa,  sia  la  Corte
d'Appello ad emetterla, nel qual caso il mezzo di gravame si  propone
ad altra Sezione della stessa  Corte,  o,  in  mancanza,  alla  Corte
d'Appello  territorialmente  piu'   vicina.   Nessuna   analogia   e'
praticabile   nella   concreta   fattispecie,    come    erroneamente
implicitamente ritenuto dal  Collegio,  essendo  la  Sezione  Agraria
Specializzata  (in  composizione   monocratico   collegiale)   organo
giurisdizionale di prima istanza. Il Collegio sembra avere  applicato
«acriticamente» l'art. 26  primo  - secondo  - terzo  comma legge  11
febbraio  1971,  n.  11  (Nuova  disciplina  dell'affitto  di   fondi
rustici). Il primo comma non e' da ritenersi esclusivo  e  preclusivo
della competenza presidenziale in  materia  cautelare.  La  esclusiva
competenza della Sezione Agraria Specializzata, di cui  alla legge  2
marzo 1963, n. 320, comprende tanto  i  provvedimenti  di  competenza
presidenziale, quanto  quelli  di  competenza  collegiale.  Anche  il
Presidente  della  Sezione  Agraria   Specializzata   fa   parte   di
quest'ultima. Il secondo e terzo comma, ad  avviso  dello  scrivente,
sono da ritenersi implicitamente abrogati  alla  luce  della  Novella
1990  art.669-quaterdecies  c.p.c.,  laddove   e'   detto   che   «Le
disposizioni della presente Sezione  si  applicano  ai  provvedimenti
previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo, nonche', in quanto
compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti  dal  Codice
civile e dalle leggi speciali ecc... Ora, si fa notare quanto  segue.
Un sequestro (conservativo o giudiziale), un provvedimento  cautelare
interdittale possessorio (ex art. 703 c.p.c - 1168 o  1170  c.c),  un
provvedimento cautelare atipico (ex  art.700  c.p.c.)  rientrano  nel
novero delle cautele (tipiche o atipiche)  non  previste  dal  Codice
civile ne' da leggi speciali, bensi' dal Codice di Procedura  civile;
anche nel procedimento possessorio penale l'art. 703 codice  diritto.
Il  loro  contenuto  e'  identico   a   quello   delle   controversie
giuscivilistiche o giuslavoristiche. La diversita' del  rito  agrario
(mutuato dal rito giuslavoristico) incide sul modus  procedendi  (es.
ricorso, domanda in via riconvenzionale, notificata, d'ufficio, dalla
cancelleria civile, e non su impulso di  parte),  ma  non  sul  modus
procedendi delle singole  misure  cautelari.  Non  si  tratta  di  un
«sequestro tributario», disposto con decreto «inaudita altera  parte»
dal Presidente del  Tribunale,  poi  confermato,  eventualmente,  con
ordinanza (sempre  presidenziale).  La  peculiarita'  del  «sequestro
fiscale» e' data dal fatto che, conclusa la fase  cautelare,  dinanzi
all'AG (presidenziale) il Presidente del  Tribunale  fungitur  munere
suo; trasmette gli atti, per il giudizio tributario di  merito,  alla
Commissione  Tributaria  di  1°   grado.   Il secondo   comma   della
citata legge 11 febbraio  1971,  n.  11,  nell'investire  le  Sezioni
Agrarie Specializzate  dei  provvedimenti  cautelari,  relativi  alle
controversie  di  competenza  delle  stesse  Sezioni,   non   traccia
distinzione di sorta fra Presidente della Sezione  Agraria  e  organo
collegiale; entrambi gli organi giurisdizionali,  come  gia'  pocanzi
accennato, vi  appartengono.  Questo  giudice  ha  ritenuto,  invece,
implicitamente abrogato, per contrasto con la nuova normativa in tema
di procedimenti cautelari  (art.  669-terdecies  e  quaterdecies,  il
primo anche nella nuova versione 2005) il terzo comma del citato art.
26, laddove vieta, implicitamente, l'emissione di  decreto  «inaudita
altera parte» nella ipotesi di sequestro, conservativo o  giudiziario
che sia, prevedendo, in punto, il rito in camera di  consiglio  «dopo
aver sentito le parti». Anche a voler ritenere, come erroneamente  da
parte del collegio giudicante, che l'«inaudita  altera  parte»  possa
ravvisarsi solo in casi di eccezionale urgenza,  cio'  contrasterebbe
con il tenore univoco della norma, che non sembra conoscere eccezioni
di sorta, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice collegiale. 
    Per  quale  motivo,  allorche'  siano  in  giuoco  interessi  che
gravitino nella sfera del  diritto  agrario,  non  e'  consentito  al
giudice  investito  della  domanda  cautelare  (specie  ante  causam)
ritenere che la convocazione  della  controparte  possa  pregiudicare
l'attuazione del futuro emanando provvedimento di cautela, quale  che
esso sia? 
    Anche  in  controversie  del  genere,   la   controparte,   posta
sull'avviso, ben potrebbe porre in essere  nelle  more  intercorrenti
fra il deposito del ricorso  e  la  comparizione  delle  parti,  atti
(giuridici  e  materiali)  dispositivi   del   diritto   controverso,
concretizzando cosi' quel «pericolo superiore alla  media»,  in  ogni
procedura cautelare, che la miglior dottrina definisce  «pericolo  al
quadrato». 
    Ove non si accetti  la  tesi  (dello  scrivente)  di  abrogazione
implicita del detto 3° comma  (che  oltretutto  sembra  discriminare,
ulteriormente,  la  fattispecie   del   sequestro,   conservativo   o
giudiziario che sia, rispetto alle altre fattispecie cautelari),  per
contrasto con gli artt. 669-terdecies e quaterdecies c.p.c., il comma
medesimo   dovrebbe   essere   ritenuto   palesemente   viziato    da
incostituzionalita',  per   lesione   (ex   artt.   2   e   3   Carta
costituzionale) di fattispecie obiettivamente identiche, che  vengono
ad  essere   tutelate   in   grado   minore   rispetto   alla   sfera
giuscivilistica, per  il  solo  fatto  di  originare  da  contenzioso
agrario. In ogni caso, il decreto  «inaudita  altera  parte»  mal  si
concilia con, il rito  camerale  e  con  la  composizione  collegiale
dell'organo monocratico, che si estende anche a  n.  2  Esperti  (non
togati). 
    Argomento ulteriore a favore della tesi di  chi  scrive,  risiede
nella seguente testuale pronuncia giurisprudenziale: «Anche le  norme
generali, relative a tutti i procedimenti  cautelari  inserite  dalla
legge di riforma 26 novembre 1990, n. 353, nella  sezione  prima  del
capo  III  del  libro  I  del   c.p.c.   si   dichiarano   (nell'art.
669-quaterdecies)  applicabili  anche  ai  provvedimenti  contemplati
nella sezione II (relativa  al  sequestro),  mentre  solo  per  altri
provvedimenti sono applicabili in quanto compatibili» cio' non toglie
che per la «disomogeneita'» delle varie misure,  nulla  impedisca  al
legislatore  di  modulare  diversamente  alcuni  aspetti   dei   vari
procedimenti con speciali norme (Corte costituzionale  sent.  n.  237
del 1995). Quindi, i  cosiddetti  «altri  provvedimenti»,  come  gia'
accennato  nel  caso  della  presente   motivazione,   non   sono   i
provvedimenti di ordinaria  amministrazione  (possessori,  sequestri,
art. 700 ecc.) gia' conosciuti dal c.p.c., ma quelli  rinvenibili  in
altri testi legislativi (ex art. 1137 C.C.  in  tema  di  sospensione
delle delibere assembleari annullabili perche' contrarie alla legge o
al regolamento di condominio; altro esempio:  ordinanza  in  tema  di
provvisionale in cause relative  a  lesioni  da  incidenti  stradali,
ieri legge 24 dicembre 1969, n. 990; oggi Codice delle  assicurazioni
2005).  Cio'  sembra  confermare  la  tesi  (di  chi  scrive)   circa
l'esigenza di  colmare,  specie  all'esito  della  non  condivisibile
ordinanza collegiale, la lacuna insita nell'art. 669-terdecies c.p.c.
in tema di cautela emessa dalla Sezione  Agraria  Specializzata.  Chi
scrive ritiene che la competenza funzionale dell'organo presidenziale
sia desumibile da quanto, notoriamente, avviene in tema di  emissione
di  decreti  ingiuntivi,  e,  soprattutto,  il  che  e'  ancora  piu'
determinante ai fini che interessano nella presente sede, in tema  di
procedure di accertamento tecnico  preventivo,  ex  art.  696  c.p.c.
(«novellato» dalla riforma 2005) ed ex art.696-bis stessa codicistica
(consulenza tecnica  preventiva  ai  fini  della  composizione  della
lite). Non puo', obiettivamente denegarsi che, pur trattandosi, nella
specie, di «procedimenti di  istruzione  tecnico  preventiva»  (tesi,
cioe', ad evitare la dispersione delle fonti di prova  e  ad  evitare
ogni potenziale pericolo  di  inquinamento  probatorio),  gli  stessi
abbiano  vera  e  propria  natura  cautelare,  e,  come  tali,  siano
finalizzati all'instaurazione di un futuro giudizio di merito, e, ove
instaurato, siano, nello stesso,  utilizzabili.  Il terzo  comma  del
«novellato» art. 696 (cosi' come il secondo comma del pregresso  art.
696) non distingue, quanto all'a.t.p., fra cause civili e contenzioso
agrario, menzionando  la  competenza  del  Presidente  del  Tribunale
(leggi nelle vertenze agrarie, il Presidente  della  Sezione  Agraria
Specializzata). La natura cautelare dell'a.t.p. e' ribadita da quanto
segue; l'accertamento tecnico preventivo, di cui all'art. 696 c.p.c.,
presuppone il periculum in  mora,  ed  e',  quindi,  riferibile  alla
varieta' dei casi nei quali potrebbe verificarsi, prima del giudizio,
la dispersione degli elementi di prova inerenti ad un preteso diritto
(Cass. 4 luglio 1953, n. 2088; Cass. 20 maggio 1959, n. 1511). 
    Ora, il periculum in mora e' elemento comune tanto alle procedure
cautelari generali (di cui agli  artt.  670-671-700  c.p.c.-1168-1170
C.C. ecc.)regolate dagli artt. 669-bis - quaterdecies c.p.c.,  alcune
delle quali finalizzate ad anticipare gli effetti della decisione sul
merito, quanto alle procedure cautelari «tipiche» di cui  agli  artt.
696 e 696-bis Codice di rito. Tant'e' che  spetta  esclusivamente  al
giudice di merito valutare se  sussista  il  requisito  dell'urgenza,
richiesto dall'art. 696 c.p.c. per far luogo alla consulenza  tecnica
giudiziale preventiva (Cass. 25 marzo 1972, n. 941 ed altre). 
    Certo, la presente tematica non  e'  totalmente  nuova.  Ritiene,
tuttavia, lo scrivente che la Consulta  possa  esaminarla  alla  luce
delle nuove argomentazioni stricti juris, prospettate nella  presente
sede. 
    E'  indubbio  che  la  diatriba  verta  in  tema   di   normative
processuali, pregresse ed attuali. Per quanto  concerne  la  tematica
dei  procedimenti  cautelari  in  materia  di  diritto  agrario,   il
legislatore non ha dettato norme transitorie, regolanti  diversamente
la materia (Cass. 5 agosto 87, n. 6739). Il decreto «inaudita  altera
parte», per il suo stesso contenuto, riveste  natura  interinale  (in
via provvisoria ed urgente); non e' definitivo;  e'  suscettibile  di
conferma, modifica, revoca  all'esito  dell'udienza  di  comparizione
delle parti; il giudice decide, al riguardo, con ordinanza, previo il
contraddittorio processuale delle parti medesime. Tale,  ove  non  si
ritenga il detto terzo comma art. 26 legge11  febbraio  1971,  n.  11
implicitamente abrogato per suo netto oculare evidente contrasto  con
gli artt. 669-bis e  segg.  c.p.c.  (in  particolare  con  gli  artt.
669-terdecies e quaterdecies), va ritenuto  incostituzionale,  anche,
ulteriormente, per evidente palese contrasto  con  il secondo  comma,
cit. norma, discriminando fra i vari tipi di procedimenti  cautelari,
tutelando, in modo minore, il sequestro rispetto alle altre procedure
di cautela,minore cautela che non si legittima e giustifica in  alcun
modo, solo se si rifletta sull'essenza ed urgenza insita,  tanto  nel
sequestro giudiziario  (di  cui  all'art.  670  c.p.c.),  quanto  nel
sequestro conservativo di cui  all'art.  671  c.p.c.),  ove  si  deve
valutare il fondato (o meno) timore, in capo al creditore istante, di
perdere la garanzia del proprio credito. Il legislatore,  a  ragione,
ha  riservato  il  «rito  camerale»  alla  sola  fase  del   reclamo,
richiamando, nel terzo  comma  dell'art.  669-terdecies  c.p.c.,  per
relationem, gli articoli 737 e 738 in tema di procedura in Camera  di
consiglio.   Detto    richiamo    non    e'    reiterato    nell'art.
669-sexies, primo  comma,  prima  parte  c.p.c.,  ove  e'  detto,  in
esordio, «omessa ogni formalita' non essenziale al  contraddittorio»,
contemplandosi  liberta'  di  forme  nel  modus  procedendi,   quella
liberta' di forme totalmente inibita dal citato terzo comma legge  11
febbraio 1971, n. 11. Tra l'altro, il rito camerale consta di  minore
tutela delle parti; tant'e' che il legislatore, con la Novella  1990,
lo ha riservato alla sola fase del reclamo (che consiste nel riesame,
in fatto e diritto, delle problematiche trattate nella fase cautelare
di 1° grado). L'esegesi espressa  dal  Collegio  non  sembra  proprio
conforme alla  Corte  costituzionale.  Se  una  norma  di  legge  sia
suscettibile di piu' interpretazioni, di cui una darebbe  alla  norma
un significato costituzionalmente illegittimo, il dubbio, in tal caso
soltanto apparente,  deve  essere  superato  interpretando  la  norma
(nella specie il  dettato  internormativo)  in  senso  conforme  alla
Costituzione medesima, Cass. 10 marzo 1971, n. 674, Foro amm.,  1971,
I, 1, 252; Cass. 27 gennaio 1978, n. 393, Giust. civ., 1978, I, 1123;
Cass. 22 giugno 1983, n. 4272, ivi,  1983,  I,  2241;  Cons.  St.  15
febbraio 1972, n. 100, Foro amm. 1977, I, 134; Cass. 3 gennaio  1984,
n. 7, Giust. Civ., 1984, I, 1513 Cass. 24 maggio 1988, n. 3610, Giur.
imp., 1989, 74; Cass. 5  maggio  1995,  n.  4906).  L'interpretazione
secondo Costituzione (cosiddetta  «interpretazione  adeguatrice»)  e'
momento,   costituzionalmente    rilevante,    di    ogni    esegesi;
conseguentemente, tra due interpretazioni (la prima che tutela  sotto
il profilo dell'«inaudita altera parte», scongiurando, a  priori,  il
rischio  di  pregiudicare  l'attuazione  dell'emananda  cautela,   la
seconda che non tutela sotto detto profilo), l'una conforme e l'altra
contrastante con la Carta costituzionale, va certamente preferita  la
prima (Corte cost. 17 giugno 1999, n. 242). 
    Questo giudice, per numerosissimi anni, come interprete, prima di
investire la Consulta del dubbio (non manifestamente infondato) circa
la rispondenza di una data norma (o di un complesso intemormativo) al
testo costituzionale, ha verificato,  antecedentemente  all'emissione
della recentissima ordinanza collegiale, la possibilita' di  giungere
ad  una  lettura  della  norma  stessa,  che,   nel   rispetto,   dei
tradizionali canoni ermeneutici, consentisse di intenderla in armonia
con la costituzione medesima (Cass. 3 febbraio 1986, n. 661, Foro it.
1986, 1, 1898; Cons. St. 18 gennaio 1988, n. 8, Giurit. 1989, 175). 
    Le  norme  processuali,  diversamente  da  quanto  ritenuto   dal
Collegio del  reclamo,  sono  immediatamente  applicabili  in  quanto
disciplinanti le modalita' di svolgimento della lite  fino  alla  sua
definizione (Cass. 19 maggio  79,  n.  2879,  Arch.giur.circ.e  succ.
1979, 745). 
    Al contrario, l'organo collegiale ha  ritenuto  l'«ultrattivita'»
di una disciplina processuale (meno favorevole  alle  parti)  emanata
sotto la vigenza dell'abrogata Novella procedurale 1950. Non  ha,  in
alcun modo, effettuato la valutazione di «adattamento comparativo» di
cui all'art. 669-quaterdecies c.p.c., «residuato» alla  piu'  recente
Novella 2005.  Un  conto  e'  la  reclarnabilita'  del  provvedimento
cautelare  di  1°  grado;  un  conto  e'  la  competenza   funzionale
dell'organo  giurisdizionale  «deputato»   all'emissione   di   detto
provvedimento cautelare. 
    Torna, a questo  punto,  d'attualita',  il  gia'  menzionato  (in
esordio     di     motivazione)     tema     del      divieto      di
ultrapetizione-extrapetizione, di cui all'art.  112  c.p.c.  Il  fine
della  presente  ordinanza  e'  esclusivamente  quello  di  sollevare
«incidente di costituzionalita'», rilevante ai  fini  decisori  della
riserva assunta in udienza,  perche'  non  e'  questione  irrilevante
l'individuazione  della  competenza  funzionale.  Anche   gli   artt.
696-696-bis c.p.c. Novella  2005  costituiscono  lex  specialis  quae
derogat legi  generali  (art.  50-bis,  primo  comma,  n.  3) - cause
devolute alle sezioni specializzate». 
    Sempre per tuziorismo e scrupolo di motivazione,  ad  colorandum,
va aggiunto quanto  segue.  La  norma  dell'art.  50-bis  c.p.c,  che
stabilisce  quando  il  Tribunale  debba  decidere  in   composizione
collegiale, non attiene alla competenza, ma  solo  alla  ripartizione
degli affari all'interno del medesimo tribunale; l'eventuale  mancato
rispetto di tale ripartizione, conseguente alla trattazione da  parte
del giudice monocratico  di  una  causa  che  avrebbe  dovuto  essere
trattata  dal  collegio,  determina  secondo  quanto  precede  l'art.
50-quater c.p.c., una nullita'  da  far  valere  ai  sensi  dell'art.
161, primo comma c.p.c., con gli stessi motivi di gravame.  (Cass.  9
giugno 2005, n. 12174). Anche  nella  non  condivisibile  e  denegata
ipotesi in cui si ritenga esservi una nullita'  processuale,  l'esame
della stessa non avrebbe potuto essere effettuata  dal  Collegio  del
reclamo, perche'  non  vi  era  gravame  sul  punto  specifico  della
monocraticita'  (o  collegialita'),   ma   solo   sul   punto   della
reclamabilita' (o non  reclamabilita')  del  provvedimento  cautelare
di 1° grado. Nulla avendo eccepito la parte reclamante  al  riguardo,
era preclusa, in detta sede collegiale, la possibilita'  di  dedurre,
ex officio, la nullita' del provvedimento  impugnato  perche'  sanata
per acquiescenza)  (Cass.  21  giugno  2005  n.  6071).  Va  comunque
ribadito, per la seconda volta consecutiva, che il presente  richiamo
all'art.161, primo comma c.p.c. sia per mero tuziorismo e scrupolo di
motivazione, perche' la succitata norma attiene alla sentenza  e  non
all'ordinanza. Trattasi, quindi, di  mera  denegata  ipotesi.  A  suo
tempo, con ordinanza del 3 gennaio 1996 G.it. 96,I, 2,  598,  l'adita
Corte d'Appello di Lecce ritenne,  correttamente,  l'inammissibilita'
del reclamo interposto avverso i provvedimenti cautelari emessi dalla
«Sezione  Specializzata  Agraria  del  Tribunale»,  in   quanto   non
espressamente previsto dall'art. 669-terdecies Novella  1990  in  tal
contesto,  la  detta  Corte  ritenne  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  669-terdecies  c.p.c.,  in  relazione  agli
artt.  3  e  24  della  Cost.  non  manifestamente   infondata.   Con
statuizione 96/421,  all'epoca,  la  Consulta  ritenne  infondata  la
questione  di   legittimita'   costituzionale   medesima,   lasciando
all'interprete la possibilita' di individuare l'organo competente  (a
conoscere del reclamo) nel  giudizio  superiore  ovvero  in  un'altra
sezione del tribunale, o, in mancanza,  nel  tribunale  piu'  vicino.
Attualmente, la pregevole tematica de qua  si  arricchisce  di  nuovi
elementi  e  di  nuove  questioni  stricti  juris,   anche   perche',
all'epoca, emerse comunque, dal verdetto della Corte cost.,  come  il
reclamo, ove ritenuto praticabile, non  competesse,  in  alcun  modo,
alla Corte d'Appello, per nulla menzionata come giudice  del  reclamo
avverso i  provvedimenti  emessi  dalla  Sezione  Agraria,  nell'art.
669-terdecies c.p.c., non dovendosi identificare il giudice superiore
con la detta Corte. La novita' della questione e' data  invece  dalla
ripartizione  (gia'  commentata)   degli   affari   all'interno   del
Tribunale, della Sezione Specializzata Agraria. Oltretutto, il  fatto
che quest'ultima si  sia  riunita  in  composizione  collegiale  (non
quindi come Sezione del Tribunale,  ma  come  Sezione  Specializzata)
costituisce riconoscimento implicito che il  primo  provvedimento  di
cautela potesse essere emanato dal  Presidente  della  Sezione,  che,
torna  a  ripetersi  per  l'ennesima  volta,  non  e'  certo   organo
giurisdizionale estraneo alla Sezione medesima. 
    La rilevanza del presente  «incidente  di  costituzionalita'»  e'
data  dall'inderogabile  esigenza,  per  i   procedimenti   cautelari
instaurandit, di garantire la ripartizione  interna  delle  procedure
medesime,  degli  affari  giudiziari   «introitandi»   nel   rispetto
dell'art. 97 Cost.  sull'efficienza,  correttezza  e  buon  andamento
della P.A ., che la Consulta, con sent.1988 in tema di legge13 aprile
1988 n. 117, ha ritenuto comprensiva anche dell'Amministrazione della
Giustizia, in quanto P.A. latu sensu. Anche il rito societario (2003)
non conosce la figura del G.I., ma conosce la  «mocraticita'»  (artt.
23 e 24) del giudice cautelare, ante causam e in corso di causa. 
    L'«ultrattivita'» del  procedimento  camerale,  di  cui  al terzo
comma art. 26 legge 11 febbraio 1971, n. 11, sembra  proprio  violare
anche il detto art. 97 Carta costituzionale, perche'  inibisce,  come
detto e ridetto, la potesta' di ravvisare, in capo al  giudice  della
cautela, gli estremi per  la  tutela  anticipata  nelle  forme  della
decretazione interinale «inaudita altera parte».  In  ogni  caso,  il
rito camerale  conosce  minore  speditezza  rispetto  al  rito  (piu'
celere), di cui all'art. 669-sexies c.p.c. 
    La rilevanza dell'incidente de quo attiene alla futura  «certezza
dei rapporti giuridici» sotto il profilo della tutela processuale.